REX

  • Il REX e il giorno della memoria

    Nella ricorrenza della “giornata della Memoria” Fondazione Ansaldo ricorda le vittime dell’Olocausto riprendendo integralmente dal libro “REX: il sogno azzurro – the blue riband” il capitolo dedicato alla fuga di molte famiglie ebree che, grazie al REX, attraversarono l’Atlantico trovando rifugio in America tra il 1933 e il 1940.

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    A bordo piscina, 1939 (RGB)

    Nei decenni intercorsi tra la Prima e la Seconda Guerra mondiale, la maggior parte degli ebrei europei risiedeva in Russia e nei paesi dell’Europa orientale, in Polonia, Cecoslovacchia, Ungheria, Romania, Bulgaria, Germania e in Austria. Gli ebrei italiani erano circa 45.000, cui si aggiungevano altri 10.000 residenti sul territorio italiano ma di nazionalità estera.

    Il 1933, con l’avvento al potere di Hitler, segna l’inizio dell’esodo dalla Germania dei 500.000 ebrei tedeschi che vi risiedevano. Prima del 1938, circa 250.000 ebrei lasciarono la Germania, molti dei quali per la Palestina (nel solo 1933, circa 35.000). Nel 1938, l’annessione dell’Austria alla Germania obbligò gli ebrei che potevano farlo a lasciare anche quel paese. I profughi ebrei dalla Germania e dall’Austria vennero accolti e il loro insediamento non fu ostacolato dalle autorità italiane.

    Nel maggio del 1938 Hitler visitò Roma per ricambiare la visita di Mussolini e il mese successivo esperti tedeschi di razzismo vennero in Italia per istruire i funzionari italiani su questa pseudo-scienza. Due mesi dopo, il 14 luglio del 1938, venne pubblicato il “Manifesto della razza”, con le sue teorie sull’esistenza di una presunta razza ariana italica, e il primo settembre 1938 venne emanata la legge: tutti gli ebrei italiani furono banditi dalla vita pubblica e le scuole furono precluse ai bambini ebrei. All’interno del partito fascista, tra i pochi ad opporvisi fu Italo Balbo.

    Gli ebrei che ne avevano la possibilità, emigrarono: i più verso le Americhe, ma anche in Palestina. Gli altri si adattarono a vivere come potevano, si organizzarono in seno alle comunità e continuarono, malgrado le loro peggiorate condizioni, ad aiutare i fratelli d’oltralpe che, dall’avvento di Hitler al potere, continuavano ad affluire numerosi in Italia.

    Il periodo 1938-1943 fu tragico per gli ebrei italiani. Nello studio di Michele Sarfatti si certifica che in questi sei anni vennero assoggettate alla persecuzione circa 51.100 persone. I perseguitati furono 46.600 ebrei effettivi e 4.500 non-ebrei classificati “di razza ebraica”. L’antisemitismo permeò la vita del Paese in tutti i suoi comparti. In un solo anno, dei 10mila ebrei stranieri presenti in Italia, 6.480 furono costretti a lasciare il Paese.

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    In partenza da Napoli, 1938 (RGB)

    Per fortuna la persecuzione degli ebrei trovò scarso consenso nel popolo italiano, salvo poche eccezioni; molti, pur consci del pericolo cui si esponevano, salvarono la vita a ebrei italiani e stranieri, nascondendoli nelle loro case, mentre i partigiani accompagnavano alla frontiera svizzera vecchi e bambini. Tra tutti, spiccano gli atti di eroismo di Giorgio Perlasca e del questore di Fiume Giovanni Palatucci (poi morto a Dachau). Anche la Chiesa Cattolica intervenne in modo deciso. Molti ebrei trovarono rifugio e salvezza nei monasteri e nelle parrocchie di Genova in attesa degli imbarchi.

    Nel 1939, Dante Almansi, presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, fu autorizzato a creare un’organizzazione con sede a Genova per assistere i rifugiati ebrei giunti in Italia da altre parti d’Europa, conosciuta come DelAsEm, (Delegazione Assistenza Emigranti Ebrei) che aiuterà oltre 5.000 rifugiati ebrei a lasciare l’Italia e raggiungere paesi neutrali. A Vienna invece operava la HIAS (Hebrew Immigration Aid Society) specializzata nell’ottenere nuovi documenti e visti di espatrio soprattutto verso gli Stati Uniti.

    I passeggeri ebrei sul REX, distribuiti in tutte le classi con imbarco a Genova o a Cannes, iniziarono ad essere notati già nel 1933, con un graduale incremento sino a raggiungere numeri elevati negli anni successivi, sino al 20 maggio 1940 con l’ultimo viaggio del REX. Nei viaggi verso l’America la nave era sempre al completo, mentre in direzione dell’Europa trasportava generalmente solo qualche centinaio di passeggeri. Poiché molti emigranti ebrei ortodossi, specie delle terze classi, rifiutavano i pasti a bordo se non preparati secondo le regole kosher, arrivando a fine traversata molto deperiti, non riuscendo a superare la visita di controllo sanitario per l’ingresso negli Stati Uniti, le organizzazioni ebraiche si attivarono quindi per poter svolgere attività di sostegno diretto a bordo delle navi. Già nel gennaio 1933, con l’accordo tra l’Union of Orthodox Jewish Congregations of America e la società Italia, per far fronte al crescente numero di passeggeri ebrei, sul REX furono imbarcati in permanenza un rabbino e un cuoco kosher, con cambi del personale:

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    A bordo esisteva una cucina kosher con riposteria e frigoriferi dedicati, che vennero ampliati nei lavori del maggio 1936, in seguito alla fusione delle classi Turistica e Speciale. Anche i menù erano personalizzati e persino i piatti avevano la scritta REX in caratteri ebraici.

    Nello United States Holocaust Memorial Museum di Washington sono raccolte parecchie testimonianze fotografiche, scritte e registrazioni vocali degli ebrei europei che riuscirono a fuggire a bordo del REX. Tutti confermano la grande cura con cui furono accolti dall’equipaggio e lo squisito trattamento ricevuto durante la traversata, che compensava in certa misura le pene subite, aiutandoli a dimenticarle. Le vie di fuga più usate erano il passaggio dall’Austria a Trieste in Italia, per proseguire in treno sino a Genova ove si attendeva l’imbarco sul REX. In alternativa si passava dalla Francia per raggiungere la nave allo scalo di Cannes.

    In base al numero di viaggi transatlantici compiuti dalla nave, considerando una media ridotta di passeggeri a bordo, furono dai 30.000 ai 50.000 gli ebrei italiani ed europei che viaggiarono a bordo del REX verso gli Stati Uniti.

    Quella che molti consideravano la nave dell’orgoglio del regime, fu invece per molti la “nave della salvezza” grazie soprattutto al suo equipaggio, che meriterebbe a pieno titolo di essere ricordato nel “Giardino dei Giusti tra le Nazioni”.

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     In arrivo a New York, 1937 (RGB)

  • Racconto della matricola 38741: la Michelangelo e l’onda anomala

    Gennaro Perna, classe 1945, attraverso la penna di Michele Di Luca, ci racconta una storia di mare, una storia vecchia come il mondo, come la storia dei marinari di Torre del Greco, fatta di valore e coraggio.

    Un’onda anomala colpì la Michelangelo durante una traversata nell’aprile del 1966. La forza della natura ricorda così all’uomo le sue capacità e, purtroppo, la sua violenza. Ma l’uomo risponde con altrettanta forza e tempra morale.

    Il raccontare serve a tramandare le conoscenze, il saper fare, a mantenere vivo ciò che è stato e trasmettere di generazione in generazione i valori di una società in continuo sviluppo. Pertanto Fondazione Ansaldo raccoglie i ricordi di uomini coraggiosi e di grandi imprese.

    Oggi salpiamo insieme per una nuova avventura nel mare dei ricordi… Buona lettura!

     

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    Torre del Greco città del corallo e dei fiori, così recita la targa posta all’ingresso della cittadina alle falde del Vesuvio, e non è solo questo che la caratterizza bensì è anche, e soprattutto, luogo di forte tradizione marinara che si perde nella notte dei tempi. Basti pensare che i Borbone la chiamavano “la spugna d’oro del Regno delle due Sicilie” per le numerose barche coralline che si spingevano fino alle coste africane per la pesca del corallo, chiamato anche oro rosso.

    La tradizione marinara torrese famosa sia nel settore armatoriale che in quello del personale navigante, si è sempre distinta nel mondo dove con alterne vicende i suoi marinai sono stati artefici e spettatori di tante avventure liete e tristi, in pace come in guerra, quando l’andar per mare era una vera e propria avventura su legni rudimentali e tutto era affidato alla perizia dell’equipaggio e alla conoscenza degli elementi che li circondavano. Per fortuna col passar degli anni la tecnologia ha fatto passi da gigante anche nel settore della navigazione e della cantieristica varando navi sempre più grandi e confortevoli chiamate appunto transatlantici come Rex, Conte di Savoia, Michelangelo e Raffaello, orgoglio della cantieristica e della marineria italiana.

    Purtroppo questo patrimonio di avventure e di conoscenze spesso non raccolto per tramandarne la memoria alle future generazioni inesorabilmente cadrebbe nell’oblio se non ci fossero delle istituzioni come la Fondazione Ansaldo che recupera documentazione e storie per accrescere e custodire il bagaglio di conoscenze.

    A proposito di ricordi vogliamo parlare della turbonave Michelangelo ed esattamente “dell’onda anomala” del 12 aprile 1966.

    Quella mattina… qui comincia il racconto veemente e pieno di commozione di Gennaro Perna, classe 1945 matricola 38741 del libretto di navigazione, torrese verace, imbarcato sulla Michelangelo dal 4 febbraio 1966 in qualità di Giovanotto di II^.

    …La Michelangelo navigava alla volta di New York con mare in burrasca… la furia degli elementi stava colpendo la nave procurando notevoli sollecitazioni allo scafo e facendo letteralmente scoperchiare alcune prese d’aria poste sul ponte di prua per le quali necessitava l’urgenza di ricoprirle al fine di evitare ulteriori seri danni.  Il Comandante in seconda Claudio Cosulich radunò gli uomini di coperta alla ricerca di quattro volontari per riparare il danno. Senza esitazione Gennaro Perna, pur consapevole del pericolo che incombeva, si offrì insieme ad altri tre tra cui il marinaio torrese Lama Biagio per richiudere “i funghi” ossia le prese d’aria portate via in precedenza dalle onde.

    Qui il racconto del Perna si carica ancor più di emozione in quanto rivive gli attimi concitati di quando viene imbracato con una fune trattenuta dal Cosulich ed altri e si portò sulla prua estrema della Michelangelo per effettuare l’intervento di copertura indispensabile alla sicurezza della nave. Quell’operazione risultò un mix di senso del dovere, rischio incalcolato ed un pizzico di fortuna basti pensare quello che accadde di lì a poco con la cosiddetta onda “anomala” che investì in pieno la prua, il ponte di comando ed alcune cabine, provocando decine di feriti, alcuni morti, e lo stesso ufficiale Cosulich riportò alcune fratture agli arti. Se “l’onda” distruttiva si fosse verificata durante l’operazione i “volontari” sarebbero sicuramente stati tutti spazzati via fuori bordo con risultato facilmente deducibile.

    I feriti vennero curati a bordo ed una parte di essi anche con l’ausilio di una nave della marina militare americana che fornì ulteriore assistenza mentre la turbonave riprendeva la rotta per New York. Ma Gennaro Perna non esaurì la sua attività straordinaria difatti qualche giorno dopo sempre volontario fu impegnato nell’operazione di trasbordo di un marinaio feritosi gravemente agli arti inferiori tale Mario Bianchini. La gravità delle ferite riportate necessitavano di un ricovero urgente presso una struttura a terra perciò fu disposto l’invio di un elicottero della guardia costiera americana per portare il ferito a terra. Per questa delicata quanto pericolosa operazione, soprattutto per l’epoca, il Perna fu dotato di stivali, tuta e guanti di gomma a protezione dell’enorme carica elettrostatica generata dall’elicottero, il cui cavo utilizzato per issare il ferito sul velivolo poteva provocare una folgorazione elettrica. Tutto andò per il meglio ed anche questo intervento fu archiviato nel libro dei ricordi.

    Oggi Gennaro Perna che da molto tempo ha lasciato il mare, ha dismesso i panni di marinaio ma non dimentico nel cuore e nella mente resta sempre il marinaio descritto da Lucio Dalla.

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