30 giugno
Volere …! Storia di un’impresa operaia
di Davide Trabucco e Michela Ciarapica
di Davide Trabucco e Michela Ciarapica
È il 28 gennaio del 1951. L’aria è fredda, pungente ma frizzante. Il cielo terso grazie ai venti di mare che spingono le nuvole lontane, sopra i monti che cingono Genova. Tra le lenzuola, che fanno da vela ai caseggiati del quartiere di Sestri Ponente, echeggia un vociare eccitato. È la folla radunata in attesa del varo.
Sono sempre stati frequenti i vari a Genova. La città ospita ormai da quasi 100 anni una delle industrie più importanti del Paese: l’Ansaldo. Famosissime le navi da lei prodotte, il Duilio, l’Augustus, il Roma, il Rex e moltissime altre, varate con cerimonie da Kolossal alle quali prendevano parte i reali, le autorità, madrine bellissime, ospiti illustri, cittadini e ovviamente le maestranze che avevano dato vita con le proprie mani, guidate da conoscenze straordinarie, a questi giganti del mare.
Ma il varo di oggi non è come tutti gli altri, ha una valenza più unica che rara. La nave che sta per essere battezzata è stata costruita in 60 mila ore lavorative, ma non è questa la particolarità. L’eccezionalità della Volere risiede nel fatto che sia stata completata dalle maestranze operaie ansaldine in completa autonomia, durante i 72 giorni di autogestione.
Gli ansaldini hanno portato a termine un’impresa che pareva impossibile e questa motocisterna ne è la prova. La Volere rappresenta appunto la volontà di dimostrare quali fossero le competenze appartenenti alla classe operaia.
Varo motonave cisterna Volere presso il Cant. Nav. Ans. di GeSP 28-1-1951
Ma cosa ha spinto i lavoratori di fascia più bassa a voler dimostrare il proprio valore e la loro indispensabilità? E non si tratta di un desiderio appartenente unicamente agli ansaldini, anche i dipendenti di altre industrie, quali l’Ilva e la San Giorgio e i portuali si unirono ed organizzarono in gruppi di lavoro autogestiti nello stesso periodo.
Siamo nell’immediato Dopoguerra, le industrie con fatica portano avanti la riconversione della produzione, le commesse statali vengono a mancare e lo stesso accade per gli investimenti dei privati che preferiscono investire i propri capitali altrove, specialmente nel campo edilizio.
Questo genera all’interno delle fabbriche un drastico calo della produzione con conseguente necessità di un ridimensionamento degli organici. Il 26 settembre 1950 l’Unità annuncia in prima pagina “Genova, Savona e Spezia in lotta contro 8.700 licenziamenti. 100.000 cittadini genovesi direttamente minacciati dalle smobilitazioni. Prime reazioni unitarie delle maestranze Ansaldo alle 4.417 lettere di liquidazione”.
Il titolo rivela una realtà drammatica: il governo e gli industriali vengono accusati di gettare nella disperazione numerose famiglie, senza alcuna giustificazione valida e senza formulare un piano di sviluppo adeguato, aggravando così la già precaria situazione economica della Liguria. Da qui possiamo già intuire il punto di vista dei lavoratori: per loro lo Stato e gli industriali, pur essendo consci della grave crisi economica, anziché attuare un piano strategico hanno scelto di seguire la più facile e drastica linea dura dei licenziamenti.
Il dialogo è completamente negato da parte delle dirigenze, che vanno allo scontro totale. Le maestranze ansaldine rifiutano le lettere di licenziamento, presentandosi ugualmente al lavoro e le conseguenze sono immediate: il 28 settembre 1950 sui grandi giornali genovesi appaiono nuovi titoli preoccupanti: “Le direzioni dell’Ansaldo lasciano gli stabilimenti”; “Gli stabilimenti Ansaldo da stamane senza direzioni” e ancora “Altro durissimo colpo alle nostre industrie. Le direzioni abbandonano tutti gli stabilimenti Ansaldo”.
Sono dunque le direzioni ad abbandonare i luoghi produttivi, lasciandoli volontariamente senza guida, intendendo con questo gesto bloccare la produzione e sospendere le retribuzioni. Da qui l’orgoglio operaio che porta gli ansaldini a voler dimostrare la loro autonomia. Ci riescono il giorno seguente, grazie al coordinamento dei Comitati di fabbrica, capofila della lotta, issando la dritta di prua della Volere, una vera e propria cerimonia per il significato che ricopre, simile a quello della posa della prima pietra. È l’inizio di un percorso irto di ostacoli ma ricco di soddisfazione per le maestranze che dopo una dura lotta assistono al varo della loro creazione.
Impostazione motonave cisterna Volere durante l'autogestione operaia Cant.Nav.Ans.Ge-S.P. - 1950
Nonostante il grande successo lavorativo i licenziamenti proseguirono. L’Ansaldo nel 1950 calcola un esubero di oltre 4 mila tra operai e impiegati. Il totale dei dipendenti, compresi i dirigenti, ammonta a 23 mila, di cui 7 mila solo nel cantiere navale di Sestri Ponente. Quest’ultimi saranno quasi dimezzati 10 anni dopo.
All’inizio del 1951 i rapporti in Ansaldo si fanno più tesi: la direzione rifiuta ancora l’assorbimento di 1.200 lavoratori sospesi, di cui chiede il licenziamento immediato, e chiede ulteriori sospensioni per altri 1.600 dipendenti. Dopo altri mesi di scontri si giunge ad un accordo, tra i sindacati, le maestranze e i dirigenti, che prevede le dimissioni volontarie o meno di 1.000 lavoratori e la sospensione di altri 1.600.
Si conclude così un ciclo per gli operai genovesi: quello che va dalla difesa delle fabbriche durante l’occupazione tedesca, all’impegno profuso nell’opera di ricostruzione, alle lotte dei primi anni ‘50 per difendere il proprio diritto al lavoro. Si crea così un orgoglio di mestiere che porta sul terreno politico l’aspirazione al cambiamento dei rapporti di sociali.
Vedendo questi dati, le maestranze operaie hanno subito grossi ridimensionamenti, ma nella volontà e nella dignità hanno vinto la propria battaglia essendo riusciti ad affermare la propria professionalità.
Genova, manifestazione sindacale,1950
già pubblicato sul secondo numero del 2021 di Genova Impresa
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