27 settembre
Il ritorno di Maciste
di Maurizio Sciarra
di Maurizio Sciarra
La sua carriera ha inizio come aiuto regista collaborando per molti anni con Luigi Comencini. Nel 1997 realizza il suo primo lungometraggio, La stanza dello Scirocco con Giancarlo Giannini e Tiziana Lodato, con il quale vince diversi festival internazionali. Altri importanti premi e riconoscimenti arrivano del 2001 con il suo secondo lungometraggio, Alla rivoluzione sulla due cavalli con Adriano Giannini, Andoni Gracia e Gwenaelle Simon, e nel 2006 con il film Quale amore, tratto dal romanzo Sonata a Kreutzer di Lev Tolstoj, con Giorgio Pasotti e Vanessa Incontrada.
Ha realizzato numerosi documentari, tra cui Chi ruba donne (2001) sui Cantori di Carpino, Coppi e la Dama Bianca. Un amore controcorrente (2004), Sull'orlo della gloria. La vita e le opere di Pino Pascali (2016), documentario della serie “In nome del popolo italiano” in onda su Rai 1, Transatlantico Rex. Nave n° 296 (2017) coprodotto da Cinecittà Luce.
Nel 2022 inizia la realizzazione del film documentario Il ritorno di Maciste, prodotto da La Sarraz Pictures, sulla figura di Bartolomeo Pagano, primo Maciste della storia del cinema italiano. È di questo film, per il quale ha utilizzato materiali custoditi nella Cineteca della Fondazione, che ci parla oggi, buona lettura.
Maciste, un nome che per i più, oggi, dice ben poco. Per alcuni è ancora sinonimo di “forza”, “bontà”, “giustizia”. Cioè un uomo grande, forte e giusto. Un gigante buono. Ma da dove viene quel nome, a chi si riferisce? Maciste è stato il personaggio di un film; il suo nome lo inventò Gabriele D’Annunzio, il Vate. Il film era Cabiria, il primo colossal italiano, di Giovanni Pastrone che, pur di riuscire a mettere insieme un budget per l’epoca inimmaginabile, chiese a D’Annunzio, per una somma davvero consistente, di rivedere la sceneggiatura da lui già scritta, di dar nome ai personaggi e di scrivere le didascalie. Perché il film era ovviamente muto. D’Annunzio firmò, con spregio scrisse di aver usato quei soldi così facili per “comprare carne rossa per i miei cani”, e permise alla Itala Film, produzione di Torino, di mettere insieme i soldi per realizzare il film. Maciste nacque come un personaggio secondario. Era lo schiavo di colore del patrizio romano Fulvio Axilla, insieme al quale riesce a salvare la giovanissima Cabiria, figlia di un nobile romano, rapita dai cartaginesi. La forza di Maciste sbaraglia chiunque si frapponga alla realizzazione del suo piano. E sulla nave che li riporta a Roma, suona con il flauto una serenata per Axilla e Cabiria, che concludono il film persi l’una negli occhi dell’altro.
Subito, però, si capisce che Maciste può vivere di vita propria, può dar vita a quello che oggi chiameremmo uno “spinoff”, e diventa il protagonista di ben 13 film, che si chiameranno Maciste e… oppure, per esempio, Maciste all’inferno. Film che Federico Fellini indica come il primo film che lo colpì da bambino, nell’affollato cinema di Rimini dove sedeva in braccio al suo papà e che tenterà di rifare per tutta la sua vita. Come sempre accade, quando si fa un film, dalla scrittura si deve passare alla realizzazione e quello che c’è scritto sulla carta deve prendere una forma. Non fu semplice per Pastrone e i suoi collaboratori trovare chi potesse incarnare il “gigante buono”. Provò con qualcuno del mondo circense, con dei campioni sportivi, poi qualcuno gli disse di provare a Genova, nel porto tra i camalli. E lì, tra chi per tutto il giorno caricava e scaricava le navi, con la forza delle braccia, trovò finalmente Bartolomeo Pagano, scaricatore del porto, camallo già in là con la carriera tanto da lavorare in un magazzino del porto, ma che dei camalli conservava spirito e fisico. Dapprima riluttante, Pagano lasciò la sua casa a Sant’Ilario, sulle colline di Genova, contando di tornarci dopo aver finito le riprese. In realtà ci tornò soltanto anni dopo, quando l’età non gli consentiva più di sollevare come fuscelli uomini e cose, e il fisico non lo seguiva più. Il nome Pagano allora non diceva più nulla a nessuno, per tutti era Maciste e la casa che si costruì a Sant’Ilario si chiama ancora adesso Villa Maciste. Che cosa era successo? Dal camallo era nato un divo internazionale, un simbolo. Dallo schiavo di colore era nato il supereroe bianco e borghese, perché allora un divo non poteva avere la pelle scura.
Le storie si susseguirono, le avventure si svolgevano nei luoghi più esotici e lontani, le prodezze erano simili: piramidi umane, uomini sollevati con un braccio, donne da salvare, e grandi mangiate! Le donne però non si innamoravano mai di lui. Come dice in una didascalia di Maciste innamorato, “hai mai visto una gazzella con un pachiderma?”. L’amore gli manca, ma un supereroe non avrebbe potuto “lavorare” facendo i conti con una donna e una famiglia. Venne il cinema sonoro, Maciste perse la forza del silenzio e della mimica. Poi il personaggio scomparve, per riapparire negli anni ’60. Ma gli attori erano già palestrati e gonfiati e la poesia si era persa.
Oggi però Maciste ritorna, di nuovo in un film. Esce da uno schermo dopo la proiezione di Cabiria e vuole sapere chi è e cosa ha fatto. Anche oggi non è stato facile trovarlo. La sua faccia antica e il fisico naturale non sono più consueti. Lo sport mi è venuto in aiuto. Giuseppe Abbagnale, indimenticato canottiere medaglia d’oro, lo ricorda in maniera impressionante e la sua generosa collaborazione, in un’impresa che non avrebbe mai immaginato, ha riportato in vita il vecchio camallo.
Quello che non era facile era però ricostruire i luoghi e le atmosfere dell’epoca. I teatri di posa, ma soprattutto il porto di Genova. Ecco però la forza del cinema. Gli archivi ci riportano indietro con quella meravigliosa macchina del tempo. Sono stato fortunato, perché conoscevo già bene gli archivi di Fondazione Ansaldo, e ricordavo le facce nere dei carbunin, e i pesantissimi sacchi trasportati su sottili pedane di legno, conoscevo il proto di Genova pieno di velieri e delle prime navi a vapore. Uno studio più approfondito mi ha fatto scoprire facce e situazioni che non immaginiamo più. E anche quel mondo, come Maciste, è ritornato in vita. È oggi un film in cui documentario e fiction si mescolano, dove il colore e il bianco e nero convivono, dove possiamo scoprire che anche oggi Maciste, forse, potrebbe combattere per un mondo più giusto. O che forse, se andasse in giro oggi vestito con le vesti e gli ideali del suo tempo, nessuno gli darebbe più retta.
Fondazione Ansaldo
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