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19 giugno

La colonia dimenticata: Villa Ansaldo a Multedo

di Matteo Fazzini

Le poche testimonianze archivistiche riguardanti Villa Ansaldo sono rintracciabili nella documentazione allegata all'atto di compravendita sottoscritto il 10 luglio 1950 tra le società Opere Sociali Ansaldo S.A. (O.S.A.S.A.) e Ansaldo, relativo al trasferimento di un lotto di terreno situato in località Multedo per la costruzione di una serie di abitazioni destinate agli operai per mezzo della Gestione INA Casa. L’area ceduta per la costruzione dei condomini appartiene a un’ampia fascia di territorio confinante a sud con l’attuale Via Antica Romana di Pegli, a nord con il complesso parrocchiale di Santa Maria e dei Santi Nazario e Celso, a ovest con via Monte Oliveto e a est con viale Villa Chiesa. L’ampio appezzamento è confluito, insieme ad alcune aree circostanti, tra le proprietà della O.S.A.S.A. tramite l’assorbimento, datato 31 dicembre 1943, della Società Anonima Immobiliare Villa Chiesa.

Quest’ultima, come dimostra l’atto costitutivo, è dotata fin dalla sua fondazione unicamente «di un possedimento situato tra Multedo e Pegli e precisamente di casa di tre piani e sotterranei, con grande giardino, casa per il portiere e garage, il tutto formante un sol corpo al quale si accede a mezzo di strada privata». Il certificato catastale rilasciato dal Comune di Genova in occasione dell’acquisto dall’Ansaldo ripercorre a ritroso i diversi passaggi di proprietà che hanno interessato l’area giungendo fino al 1911, anno in cui l’area e l’edificio vengono acquistati da Achille Chiesa, proprietario cui si deve una delle diverse denominazioni con cui, nel tempo, viene individuata la villa.

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L’acquisizione dell’edificio e la sua successiva destinazione a colonia da parte della O.S.A.S.A. rientrano pienamente nell’esercizio delle funzioni della società costituita il 30 luglio 1941. Come esplicita l’articolo 2 del suo statuo «la società ha per oggetto la fondazione e l’incremento di opere sociali, culturali ed assistenziali e l’esercizio diretto di attività di tale ordine a favore dei dipendenti della Ansaldo s.p.a. e delle loro famiglie, nonché l’assunzione e lo sviluppo di ogni iniziativa specie immobiliare a favore della zona ligure ed altre zone in cui irradi l’attività industriale della Ansaldo s.p.a.». Per lo svolgimento dell’azione, svolta «con esclusione di ogni fine di lucro», l’O.S.A.S.A. «potrà tra l’altro costruire, acquistare, condurre ed affittare case di abitazioni ed immobili in genere, colonie marine, montane ed elioterapiche, campi sportivi e simili, case pensioni, asili, scuole, aziende agricole. Essa potrà compiere tutte quelle operazioni che saranno necessarie od utili per il conseguimento dello scopo sociale».
Proprio nella sua destinazione a colonia per l’infanzia la villa è mostrata in più riprese in L'Ansaldo per i figli dei suoi operai. Una giornata con i bimbi della colonia elioterapica "Ansaldo" nella "Villa Ansaldo" a Genova, filmato oggi conservato presso Archivio Luce. La pellicola oggi muta, ma un tempo probabilmente dotata di voce fuori campo, segue le attività di un nutrito gruppo di bambini, mostrando gli esterni e gli interni dell’edificio insieme alle attività pedagogiche, ricreative e assistenziali di cui sono destinatari i piccoli ospiti dell’istituzione.

Le fonti testuali e visuali menzionate, unitamente a un’approfondita indagine bibliografica, hanno permesso di individuare in villa Ansaldo-Chiesa quella che in precedenza prende il nome di Villa Pignone. L’architettura, sorta nell’ultimo quarto dell’Ottocento per volere di Tito Pignone, proprietario di importanti estensioni di terreno in località Tre Croci, è fin da subito annoverata tra le meraviglie del comune di Multedo, come testimoniato da una guida illustrata dell’epoca. Pignone affida nel 1885 a Luigi Rovelli (1850-1911) l’incarico della progettazione della villa: si tratta di una della prime opere genovesi realizzate dall’architetto milanese, che negli anni seguenti è particolarmente attivo nel disegno di costruzioni del tipo a “palazzina” riconducibili al filone della villa della fine dell’Ottocento. La documentazione d’archivio non fornisce informazioni in merito alle modalità attraverso cui l’incarico viene affidato al progettista. Un ruolo non secondario deve comunque averlo giocato l’edificazione tra il 1881 e il 1882 del Castello Raggio di Cornigliano, che nel tempo verrà lungamente apprezzato sia per la sua tipologia architettonica sia per la riconosciuta capacità di Rovelli di valorizzare lo straordinario paesaggio costiero includendolo in uno meraviglioso parco. La sensibilità dell’architetto nel far coesistere in un delicato equilibrio natura e artificio è pienamente trasposta nel progetto di Villa Pignone, dove Rovelli sperimenta una serie di elementi compositivi che in seguito costituiranno il lessico del suo linguaggio architettonico di matrice eclettica. È il caso, per esempio, della definizione simmetrica dei fabbricati, della progettazione di volumi compatti, del largo uso di elementi decorativi e, non meno importante, del sapiente inserimento dell’edificio all’interno del contesto naturalistico e ambientale.

Posta sul rilievo collinare che separa Sestri Ponente e Multedo, Villa Pignone si erge in una posizione di assoluto prestigio, da cui si domina lo sviluppo costiero sottostante, dal promontorio su cui sorge Castello Raggio a levante fino al Comune di Voltri e ai rilevi che lo incorniciano a ponente. Al disegno del giardino è riservata la medesima attenzione rivolta all’architettura che è destinato a ospitare; non manca, infatti, la presenza di una natura lussureggiante, talvolta sfondo di statue di gusto classico, e di numerose piante dall’alto fusto che, nei mesi estivi, offrono puntuali zone d’ombra per un piacevole ricovero dalla calura. Come mostrato nel filmato dell’Istituto Luce, al suo interno si fa strada un esteso viale dall’andamento sinuoso, impostato per offrire al visitatore scorci panoramici dalla villa. Una volta varcato il cancello di ingresso alla residenza – non coincidente a quello delimitante la proprietà in epoca ansaldina, posto ben più a valle – una scalinata dall’andamento a tenaglia, che nel suo sviluppo apre e chiude aiuole semicircolari, permette l’accesso alla villa sovrastante.

In prossimità del cancello di ingresso rimane l’unica delle edificazioni di Rovelli sopravvissute alla distruzione patita dall’intero complesso nella seconda metà degli anni Cinquanta del secolo scorso. Si tratta della portineria, edificio a pianta rettangolare caratterizzato esternamente da un trattamento a bugnato che rimanda alla ben più strutturata decorazione della villa. Quest’ultima, come dimostrano alcune fotografie oggi conservate presso il Docsai di Genova, è connotata dalla reinterpretazione eclettica tipicamente tardo ottocentesca di elementi classici, come nel caso delle cornici marcapiano e delle paraste che insieme alle volute ne movimentano i fronti; o, ancora, dei riquadri e dei timpani a conchiglia posti al di sopra delle finestre.

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Le immagini d’epoca mostrano la villa posta su di un alto basamento impreziosito da fasce alternate a rilievo mosso da lesene e nicchie, all’interno del quale il filmato L'Ansaldo per i figli dei suoi operai mostra negli anni di proprietà ansaldina l’installazione di numerose docce destinate all’igiene dei piccoli ospiti della colonia. Al contempo, il basamento costituisce una terrazza sopraelevata che, sul lato esposto a sud, si collega all’ampio giardino per mezzo di uno scalone scenograficamente impostato e articolato in rampe dall’andamento incrociato che si incontrano a un’altezza intermedia in una ulteriore terrazza panoramica. Questo spazio aperto prospicente il piano terreno è uno dei luoghi chiave della colonia; qui, viene consumata la merenda pomeridiana, si svolgono l’alza e l’ammaina bandiera, si eseguono gli esercizi ginnici.

L'impianto compositivo dell’edificio è caratterizzato dall'intersezione e dalla compenetrazione di diversi volumi, disposti simmetricamente lungo l'asse trasversale della struttura, fatta eccezione per l'ampio bovindo semicircolare posizionato sul fronte laterale rivolto a ponente. Gli spazi interni sono distribuiti intorno a un atrio centrale a pianta quadrata che si sviluppa in altezza per tutti e tre i piani della villa. Organizzato come un portico, l’ambiente è arricchito da fini decorazioni pittoriche e plastiche di gusto neorinascimentale, all’interno delle quali si possono cogliere citazioni di registri linguistici antichi, come nel caso dei pulvini che sormontano le colonne doriche.

Due ingressi simmetrici offrono l’accesso al piano terra: quello a mare si connette con l’ampio terrazzo sovrastante lo scalone monumentale del giardino; quello a monte si apre su un vasto piazzale al quale è possibile giungere anche in automobile. Oltre a ospitare lo svolgimento di funzioni religiose, qui si consuma la dimensione ludico-militarista della pedagogia colonica. Sedute su sdraio in mezzo ai prati le tutrici leggono storie ai piccoli ospiti, che nello stesso spazio giocano a palla o al tiro alla fune, simulano il cambio della guardia, assistono a spettacoli di burattini. L’analisi del filmato d’archivio permette di individuare nel salone rettangolare più esterno verso ponente del piano terreno la mensa.

Al piano superiore Rovelli alloggia le camere padronali, progettate come appartamenti comprendenti salotti, disimpegni e servizi propri. Una balconata con colonne impostata sul volume vuoto dell’atrio è utilizzata come strumento progettuale di distribuzione dallo scalone alle diverse stanze. È interessante notare come sul fronte a mare la balconata si sviluppi fino a trasformarsi in una vera e propria veranda, che riporta sul fronte dell’edificio il motivo del colonnato già presente negli spazi interni. Sembra questa una citazione di Rovelli di uno degli elementi tradizionali della villa genovese, la loggia centrale introdotta da Galeazzo Alessi (ca 1512-1572) all’interno degli stilemi architettonici cittadini, in questo modo richiamati nell’intento di ricollegarsi all’architettura classica locale.

Nell’ultimo piano del fabbricato infine sono collocati gli spazi destinati alla servitù, che esternamente in facciata presentano finestre dalla forma ellittica, impiegata spesso in diverse opere negli anni successivi.

Con modalità assai similari a quelle impiegate dal Comune di Genova già dagli anni Trenta, con ogni probabilità la villa è adibita a colonia elioterapica da parte di Ansaldo negli anni della Seconda guerra mondiale, verosimilmente nel giro d’anni in cui si consuma la sua acquisizione e forse in alcuni di quelli immediatamente successivi al termine del conflitto. È certo, invece, che dai primi anni Cinquanta la colonia Ansaldo, in questo caso estiva, sia ospitata presso la colonia Monte Maggio del Comune di Genova.