
27 aprile
Storie di donne:
Camilla Bisi e l’oro alla patria
di Davide Trabucco
di Davide Trabucco
L’archivio Giovanni Battista Ansaldo è una fonte inesauribile di storie da raccontare. Dalla corrispondenza con il giornalista Giovanni Ansaldo, si può indagare il passato con gli occhi di chi ha vissuto un determinato periodo storico. Lettere, cartoline, ritagli di giornale da cui ricaviamo il ritratto di donne, uomini che hanno lasciato una traccia di sé, una traccia che permane nel tempo.
Nella rubrica “Storie di donne” continua il viaggio alla ricerca delle grandi menti femminili. Sulla scia delle storie precedenti, dove le protagoniste erano Sibilla Aleramo e Marie Bentivoglio, approfondiamo le vicende personali e professionali di un’altra donna intellettuale vissuta nel Ventennio fascista, Camilla Bisi.
Camilla Bisi (1893-1947). Un nome che forse non suggerirà molto. Romana d’origine, cresce in un ambiente intellettuale, con il padre scultore e pittore e la madre letterata e pedagogista. La madre ha un’importante influsso nell’educazione della giovane Camilla, grazie alla sua formazione culturale e ai lavori professionali in ambito giornalistico, riservati ai ragazzi e alle donne.
Si trasferisce poi a Genova, che diventerà sua città d’adozione, per studiare giurisprudenza e lì conosce Giovanni Ansaldo. Nasce una grande amicizia ed è tangibile nella corrispondenza, l’affetto e la stima che la Bisi nutriva per l’Ansaldo. Il rapporto tra i due si rafforza anche a livello professionale, con Giovanni Ansaldo, avviato a un eccellente carriera in ambito giornalistico, direttore del quotidiano genovese “Il Lavoro” e Camilla Bisi tra le sue giornaliste di punta.
Il Lavoro, Invasione dell'Etiopia, di Giovanni Ansaldo, 03-10-1935
Oltre al lavoro in redazione, la Bisi è fortemente impegnata in ambito culturale. Tra le sue esperienze più emblematiche vi è la fondazione della casa editrice “Ragazze” con cui pubblica e dirige l’omonima rivista quindicinale per signorine. L’impegno della Bisi, in un’epoca di forte chiusura verso il mondo femminile, è significativo: occuparsi dei problemi interessanti l’educazione e la cultura delle fanciulle. In particolare nel Ventennio, la spinta per l’emancipazione femminile si arresta, e alle donne si riservano prettamente compiti legati alla maternità, dove l’istruzione, la cultura non sono necessarie. Il fenomeno dell’analfabetismo, ancora elevato in Italia, soprattutto nelle aree rurali, coinvolgeva principalmente le donne, indirizzate fin dalla tenera età a mansioni casalinghe. Parlare di cultura per le ragazze, per le donne, interessarsi alle problematiche dell’universo femminile, è sicuramente una grande novità per l’epoca e la Bisi in questo senso è una precorritrice.
All’attività editoriale, giornalista, di scrittrice, con opere significative quali la raccolta di novelle Essere donna, Bisi unisce la sua passione per la poesia. Dall’Archivio Giovanni Battista Ansaldo emerge un lavoro “dimenticato” nella corrispondenza con Giovanni Ansaldo: “Il canto della vera d’oro” che ci riporta a un momento importante della storia italiana e del Ventennio fascista, la guerra d’Etiopia.
Il canto della vera d'oro, di Camilla Bisi, 18-12-1935
Nel 1935 scoppia il conflitto con il paese africano, membro della Società delle Nazioni. Il regime è abile a preparare, sia a livello logistico sia a livello propagandistico, la guerra coloniale. Lo spiegamento di mezzi e risorse è enorme, con Mussolini che gioca la sua credibilità sull’esito positivo del conflitto. L’Etiopia protesta ufficialmente per l’aggressione subita e le reazioni internazionali sono durissime. Gran Bretagna e Francia appoggiano l’Etiopia e impongono, tramite Società delle Nazioni, un embargo all’Italia sulle esportazioni e sulle importazioni di materiali per l’industria bellica. L’isolamento (parziale) della comunità internazionale, vissuto in Italia come una profonda ingiustizia, scatena un’ondata di patriottismo. Una manna dal cielo per il regime che riesce a garantirsi il sostegno e l’appoggio incondizionato delle masse. Il consenso alla guerra è manifestato con un evento passato alla storia: l’Oro alla Patria. La partecipazione del popolo italiano è imponente e, salvo qualche voce discordante, le classi dirigenti e il mondo intellettuale sostengono a gran voce la necessità di un appoggio simbolico al regime. Benedetto Croce, Luigi Pirandello, che dona la medaglia da premio nobel per la causa, sono solo alcuni tra i nomi più importanti che aderiscono alla manifestazione.
Le donne si ergono tra le protagoniste dell’evento; in massa, senza distinzione di classe, donano le vere nuziali, come atto simbolico di unione con lo stato fascista. L’adesione del mondo intellettuale coinvolge anche Camilla Bisi che scrive una poesia a memoria della storica giornata del 18 dicembre del 1935, il già citato “canto della vera d’oro”.
Protagonista della poesia è la vera nuziale, personificazione della fedeltà. Simbolo eterno d’amore, nella vita e nella morte. Solo un evento più grande, la missione imperialista che il regime aveva individuato per gli italiani, poteva distaccare la vera dalla sposa, rompendo il patto giurato per un patto ancora più santificato, il sacrificio per la patria. Svilisce il valore materiale, da oro a ferro, ma accresce il valore spirituale. È il trionfo dello stato sul singolo individuo, che come ogni piccola vera nuziale fonde la propria identità con quella del regime.
Camilla Bisi morirà a Genova nel 1947, poco dopo l’immane tragedia della Seconda guerra mondiale. Di lei rimane il suo forte impegno per le donne, per la cultura, come via salvifica per una maggiore emancipazione. L’appoggio al regime e il “Canto della vera d’oro”, rientrano in una condizione di ambiguità che coinvolge buona parte dell’intellighenzia italiana nel Ventennio. Come Giovanni Ansaldo, anche la Bisi è antifascista, per poi gradualmente avvicinarsi al regime, forse per opportunismo, soprattutto negli anni Trenta.
Al di là delle valutazioni personali, il canto della vera d’oro, con la sua forte valenza simbolica racchiude un momento importante della storia italiana, che è interessante studiare, per comprendere e interpretare un’epoca. Un passato che non è possibile cancellare, ma che dev’essere conosciuto in funzione didascalica. La storia sa essere scomoda, ma insegna come poche discipline al mondo. È un lungo viaggio, dove l’essere umano, con non poche difficoltà, ha elevato e continua ad elevare sé stesso. La storia è la cartina tornasole che permette la conoscenza e la comprensione della nostra identità, fragile e forte allo stesso tempo.
Cerchio d’amore, strinsi la tenue falange di sposa.
Per me nuziale fu il rito, la mano fu benedetta.
Roseo-turbata la sposa mi soppesò con orgoglio;
chiudeva per lei, nel mio giro, il segreto di tutta una vita.
Passarono i giorni – gioia dolore – raggiunti da settimane, da anni.
Una donna, oramai, una mamma pensosa mi custodiva.
Oro della sua vita, logorata, saldata al suo dito,
ero per lei più che l’amore: il suggello di una promessa.
A qualcuna mentii. Dischiusi per qualcuna speranze che non mantenni.
Per altre fui l’anello fissato ad una bara.
Ma quasi nessuna, rimasta a piangere un vivo o un morto,
osò strapparmi alla sua carne, spezzare il patto giurato.
Oggi, per tutte le spose – per le invecchiate,
per le disilluse, per le felici amate fino al tramonto,
ritorno cerchio d’amore, vera d’amore, purissima d’oro.
Si piccola! E greve per tutto l’amore che porto,
cara sopra ogni cosa. Più di ognuna sacrificata.
Amore fu il mio nome, e la fede mi benedisse.
Oggi mi chiamo carta, ferro, essenza, carbone.
Come un raro olocausto, doppiamente santificato,
in cima, su tutto l’oro che il Popolo dona alla Patria.
Fondazione Ansaldo
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