#Storiedaraccontare

Cento in poppa!
“Cento in poppa” è il motto inserito nel logo vincitore del concorso indetto internamente all’Istituto Tecnico dei Trasporti e Logistica Nautico San Giorgio volto a celebrarne il centenario. L’Istituto, fortemente radicato e sentito nel territorio, da sempre si impegna nella formazione dei più giovani in campo marittimo e vanta numerosi ex alunni di straordinario talento. L’augurio di Fondazione Ansaldo per l’Istituto è che il vento del sapere possa soffiare sempre e gonfiare le vele delle menti delle nuove generazioni verso i loro obiettivi.
Logo per i 100 anni dell’L’I.T.T.L. Nautico San Giorgio
L’Istituto aprì i battenti in Piazza Palermo nel novembre del 1921. Anche se in realtà l’istruzione nautica, come scuola governativa, risale al 1816, quel 7 novembre di cento anni fa vide la piena autonomia.
La lunga storia della scuola evidenzia la sua relazione con la tradizione marittima e una reale integrazione con i valori del nostro territorio; l’Istituto ha infatti formato generazioni che hanno dato alla Marina Mercantile e alla Marina Militare illustri personaggi e innumerevoli ufficiali di macchina e di coperta, nonché tecnici per le costruzioni navali.
L’integrazione dell’annuario dei diplomati, pubblicata per l’evento di celebrazione del centenario, contiene interessantissime pagine dedicate, tra gli altri, al Com.te del REX Francesco Tarabotto, al Direttore di Macchina del REX Luigi Risso, all’Ammiraglio Luigi Durand de la Penne, al Generale Alberto Li Gobbi e al Com.te Aldo Baffo, per arrivare ai giorni nostri. Sono ricordate anche personalità eccellenti come il Cardinale Giuseppe Siri, che fu docente di religione, Pietro Germi, alunno, Italo Balbo ed Emilio Salgari, diplomati “honoris causa”.
La vecchia sede di Piazza Palermo, Genova
Di questi cento anni, tanti sono quelli “storici”, in particolare ricordiamo:
• il 1992, anno in cui il Nautico San Giorgio di Genova si fonde con il Nautico C.Colombo di Camogli;
• il 2007, anno in cui la sede di Genova trasloca negli spazi di Calata Darsena;
• il 2009, anno in cui nasce l’indirizzo aeronautico nella sede staccata di Camogli;
• il 2010 quando, con la Riforma degli Istituti Tecnici, la scuola diventa Istituto Tecnico dei Trasporti e Logistica, mantenendo tuttavia il nome di Nautico San Giorgio.
L’I.T.T.L. Nautico San Giorgio di Genova e Camogli si articola dunque sul territorio della Città Metropolitana con la sede di Calata Darsena e le Succursali di Via Dino Col, a Genova, e la sede associata di Camogli, per un totale nel corrente anno scolastico di 1300 studenti.
La percentuale di alunni provenienti da fuori regione è del 6,31% su Genova e dell’1,41% su Camogli; il numero di studentesse è pari all’8,7% e la percentuale degli studenti con cittadinanza non italiana è del 6,1%.
Questi i percorsi di studio offerti:
• Conduzione del Mezzo Navale (C.M.N.);
• Conduzione di Apparati e Impianti Marittimi (C.A.I.M.);
• Conduzione di Apparati e Impianti Marittimi (CAIM)/Conduzione di Apparati e Impianti Elettronici di bordo (CAIE), percorso sperimentale integrato;
• Conduzione del Mezzo Aereo;
• Costruzione del Mezzo navale;
• Logistica.
Sede di Calata Darsena e Sede di Camogli
Il “Nautico San Giorgio” è socio fondatore e Istituto di riferimento della Fondazione Accademia Italiana della Marina Mercantile che, con la sua offerta formativa, rappresenta una naturale prosecuzione degli studi nelle filiere marittime e logistica.
La scuola, insieme all’Associazione Ex Allievi e Docenti e al Collegio Nazionale Capitani L.C. & M., ha organizzato i festeggiamenti del Centenario con un fitto calendario di appuntamenti:
la cerimonia di apertura si è tenuta il 15 novembre 2021 nell’Auditorium della sede di Calata Darsena con l’intervento delle autorità, seguita il 20 novembre dal 1° Palio Remiero delle scuole secondarie di secondo grado della Liguria con una sezione riservata ai Nautici Liguri, una vera e propria festa dello sport nello specchio acqueo del Porto Antico; il 26 novembre, infine, ha visto l’inaugurazione della strumentazione donata dalla Fondazione Piaggio al Laboratorio di Costruzioni Navali e al Laboratorio di Macchine. Attualmente si sta proseguendo con convegni dedicati agli alunni, uno per ogni percorso di studio, per farli incontrare con il mondo del lavoro, del loro futuro lavoro, e per far scoprire loro le opportunità che li attendono dopo il diploma.
Stiamo lavorando per i prossimi 100…
Buon Vento!
I ragazzi dell’ L’I.T.T.L. Nautico San Giorgio

Racconto della matricola 38741: la Michelangelo e l’onda anomala
Gennaro Perna, classe 1945, attraverso la penna di Michele Di Luca, ci racconta una storia di mare, una storia vecchia come il mondo, come la storia dei marinari di Torre del Greco, fatta di valore e coraggio.
Un’onda anomala colpì la Michelangelo durante una traversata nell’aprile del 1966. La forza della natura ricorda così all’uomo le sue capacità e, purtroppo, la sua violenza. Ma l’uomo risponde con altrettanta forza e tempra morale.
Il raccontare serve a tramandare le conoscenze, il saper fare, a mantenere vivo ciò che è stato e trasmettere di generazione in generazione i valori di una società in continuo sviluppo. Pertanto Fondazione Ansaldo raccoglie i ricordi di uomini coraggiosi e di grandi imprese.
Oggi salpiamo insieme per una nuova avventura nel mare dei ricordi… Buona lettura!
Torre del Greco città del corallo e dei fiori, così recita la targa posta all’ingresso della cittadina alle falde del Vesuvio, e non è solo questo che la caratterizza bensì è anche, e soprattutto, luogo di forte tradizione marinara che si perde nella notte dei tempi. Basti pensare che i Borbone la chiamavano “la spugna d’oro del Regno delle due Sicilie” per le numerose barche coralline che si spingevano fino alle coste africane per la pesca del corallo, chiamato anche oro rosso.
La tradizione marinara torrese famosa sia nel settore armatoriale che in quello del personale navigante, si è sempre distinta nel mondo dove con alterne vicende i suoi marinai sono stati artefici e spettatori di tante avventure liete e tristi, in pace come in guerra, quando l’andar per mare era una vera e propria avventura su legni rudimentali e tutto era affidato alla perizia dell’equipaggio e alla conoscenza degli elementi che li circondavano. Per fortuna col passar degli anni la tecnologia ha fatto passi da gigante anche nel settore della navigazione e della cantieristica varando navi sempre più grandi e confortevoli chiamate appunto transatlantici come Rex, Conte di Savoia, Michelangelo e Raffaello, orgoglio della cantieristica e della marineria italiana.
Purtroppo questo patrimonio di avventure e di conoscenze spesso non raccolto per tramandarne la memoria alle future generazioni inesorabilmente cadrebbe nell’oblio se non ci fossero delle istituzioni come la Fondazione Ansaldo che recupera documentazione e storie per accrescere e custodire il bagaglio di conoscenze.
A proposito di ricordi vogliamo parlare della turbonave Michelangelo ed esattamente “dell’onda anomala” del 12 aprile 1966.
Quella mattina… qui comincia il racconto veemente e pieno di commozione di Gennaro Perna, classe 1945 matricola 38741 del libretto di navigazione, torrese verace, imbarcato sulla Michelangelo dal 4 febbraio 1966 in qualità di Giovanotto di II^.
…La Michelangelo navigava alla volta di New York con mare in burrasca… la furia degli elementi stava colpendo la nave procurando notevoli sollecitazioni allo scafo e facendo letteralmente scoperchiare alcune prese d’aria poste sul ponte di prua per le quali necessitava l’urgenza di ricoprirle al fine di evitare ulteriori seri danni. Il Comandante in seconda Claudio Cosulich radunò gli uomini di coperta alla ricerca di quattro volontari per riparare il danno. Senza esitazione Gennaro Perna, pur consapevole del pericolo che incombeva, si offrì insieme ad altri tre tra cui il marinaio torrese Lama Biagio per richiudere “i funghi” ossia le prese d’aria portate via in precedenza dalle onde.
Qui il racconto del Perna si carica ancor più di emozione in quanto rivive gli attimi concitati di quando viene imbracato con una fune trattenuta dal Cosulich ed altri e si portò sulla prua estrema della Michelangelo per effettuare l’intervento di copertura indispensabile alla sicurezza della nave. Quell’operazione risultò un mix di senso del dovere, rischio incalcolato ed un pizzico di fortuna basti pensare quello che accadde di lì a poco con la cosiddetta onda “anomala” che investì in pieno la prua, il ponte di comando ed alcune cabine, provocando decine di feriti, alcuni morti, e lo stesso ufficiale Cosulich riportò alcune fratture agli arti. Se “l’onda” distruttiva si fosse verificata durante l’operazione i “volontari” sarebbero sicuramente stati tutti spazzati via fuori bordo con risultato facilmente deducibile.
I feriti vennero curati a bordo ed una parte di essi anche con l’ausilio di una nave della marina militare americana che fornì ulteriore assistenza mentre la turbonave riprendeva la rotta per New York. Ma Gennaro Perna non esaurì la sua attività straordinaria difatti qualche giorno dopo sempre volontario fu impegnato nell’operazione di trasbordo di un marinaio feritosi gravemente agli arti inferiori tale Mario Bianchini. La gravità delle ferite riportate necessitavano di un ricovero urgente presso una struttura a terra perciò fu disposto l’invio di un elicottero della guardia costiera americana per portare il ferito a terra. Per questa delicata quanto pericolosa operazione, soprattutto per l’epoca, il Perna fu dotato di stivali, tuta e guanti di gomma a protezione dell’enorme carica elettrostatica generata dall’elicottero, il cui cavo utilizzato per issare il ferito sul velivolo poteva provocare una folgorazione elettrica. Tutto andò per il meglio ed anche questo intervento fu archiviato nel libro dei ricordi.
Oggi Gennaro Perna che da molto tempo ha lasciato il mare, ha dismesso i panni di marinaio ma non dimentico nel cuore e nella mente resta sempre il marinaio descritto da Lucio Dalla.

Un sogno diventato realtà
di Cesare Augusto Giannoni.
Spesso da adulti ci si dimentica di quanto possa essere forte il senso di desiderio in un bambino, ma ci si ricorda, magari con un po’ di nostalgia, com’era invece la sensazione di fermarsi a guardare una vetrina sognando ad occhi aperti davanti all’oggetto bramato.
Questa storia, che rievoca emozioni passate, ci racconta di come un sogno sia poi diventato realtà.
L’amore per la Guzzi ha origini antiche che risalgono a quando, ancora bambino, andavo di nascosto nel garage della caserma dei Carabinieri dove vivevo con mio padre ufficiale per guardare, toccare ed a volte salire sulle V7 in dotazione all’Arma. Era sempre una emozione vedere i Carabinieri con casco, guanti, giubbotti in pelle e stivaloni, parevano cavalieri medioevali sui loro destrieri, accendere i motori che rimbombavano nel chiuso del locale e partire verso chissà quali ignote missioni.
La passione per la casa dell’Aquila mi è rimasta nel cuore e finalmente dopo quasi quarant’anni sono riuscito a chiudere il cerchio aperto da bambino. Qualche anno fa è uscito il nuovo modello di V7 che ricordava l’originale nel nome e vagamente nelle forme, si tratta di una moto più piccola della progenitrice degli anni 60/70 che nella memoria della mia infanzia aveva dimensioni enormi. Il fascino però è intatto, i cilindri a V trasversali che spuntano lateralmente sono sempre loro e nella visione frontale le donano una silhouette unica ed inconfondibile che la rendono riconoscibile al primo sguardo e solleticano la fantasia verso viaggi ed avventure solitarie. Uso solitamente moto adatte a lunghi viaggi con bagagli e passeggero ma l’attrazione è stata troppo forte e quindi con poca testa e tanto cuore ho deciso che dovevo averne una, mi sono orientato sul classico: una Special azzurra con strisce bianche, ruote a raggi e borse laterali in pelle.
Il giorno del ritiro ero emozionato come un bambino di cinquanta primavere, mentre il venditore mi spiegava gli ultimi dettagli non avevo occhi che per lei e speravo che finisse presto per avere le chiavi in mano. Finalmente in sella avvio lo starter e ritrovo suoni sopiti e mai dimenticati, il borbottio del motore al minimo ricorda il battito regolare del cuore al quale punta direttamente come la freccia di Cupido, metto la prima e la moto parte sprigionando una gaiezza contagiosa che cresce mentre sgrano tutte le marce in sequenza: è tutto come l’avevo immaginato, le maschie vibrazioni del motore trasmettono vita, il pulsare costante dei cilindri penetra sottopelle facendomi sentire una cosa sola con il mezzo e dona una sensazione di pace e libertà che solo chi usa una moto può conoscere.
Decido di spostarmi in quelli che sono i suoi territori preferiti lontano dal traffico e dal caos della città, ci vuole il luogo giusto per vivere pienamente questa nuova esperienza e le colline delle Langhe mi sembrano proprio il posto adatto. Rapido trasferimento su strade poco trafficate tra risaie allagate e prati coltivati, attraversamento di Casale Monferrato e salita verso le colline. Ora è nel suo ambiente naturale, il rumore del motore è l’unico suono che sento dentro il casco, la moto si muove tra le curve come una danzatrice provetta e trasmette emozioni difficili da dire. La striscia d’asfalto scorre sotto le ruote e sembra non debba mai finire, una sosta in cima ad un colle e lo sguardo può perdersi verso l’orizzonte infinito fatto di pregiati vitigni dai quali si trae un nettare che oggi mi è vietato perché la giornata è dedicata alla guida.
La V7 mi guarda sorniona, mi invita a ripartire ed io obbedisco salgo in sella premo il bottone dell’accensione, indosso casco, guanti e riparto. Il cielo azzurro illumina la strada e si sente il tepore del sole primaverile, il tempo passa veloce ed è già l’ora del rientro, mi godo gli ultimi chilometri che mi separano dal box. Siamo arrivati a casa, la parcheggio e guardo nuovamente la mia nuova amica che sembra sorridere felice, sento il crepitio dell’olio che scende nella coppa ancora calda e mi rendo conto che ha un’anima, sembra un cavallo che sbuffa dopo una corsa.
Il tempo non è mai passato mi sento ancora il bambino che sognava viaggi ed avventure ora finalmente possibili, la saluto accarezzando il sellino e vado via contento pensando all’itinerario del prossimo giro. Dentro me gioisco sapendo che lei è lì pronta a donarmi emozioni, devo solo aspettare la prossima uscita.

In ricordo del Capitano Piero Calamai
La scalinata di Boccadasse è stata intitolata il 26 luglio 2021 a Piero Calamai, Comandante dell’Andrea Doria, quale compimento di un percorso di riconosciuta serenità, ancorché postuma dopo un lungo doloroso silenzio. Ancora oggi, dopo 65 anni, si dibatte sulla sua responsabilità nel naufragio del bel transatlantico.
Piero Calamai non è stato un uomo qualsiasi. Eugenio Giannini, terzo ufficiale del Transatlantico in quella fatidica notte del 25 luglio 1956, sempre giovane nello spirito ma sofferente nel ricordo, non ha dubbi: difende senza sé e senza ma il suo Comandante, ne onora la memoria e il suo comportamento da leader, non voleva abbandonare la nave: lo costrinsero.
Non è compito della Fondazione così come dello storico, stabilire cosa è giusto e cosa è sbagliato. Riportare fonti, rilevare testimonianze o dati, ecco, uno tra i compiti della Fondazione Ansaldo. Non possiamo esimerci, quindi, dal riportare la testimonianza scritta di Giannini. Un ricordo vivo, carico di emozioni, oramai lontano nel tempo ma che è invece ancora oggi così vicino.
Piero Calamai a bordo dell’Andrea Doria
Padova, 10 settembre 2021
Egregio Dott. Fiori,
le invio un breve ricordo del Comandante dell’Andrea Doria, il Capitano superiore di Lungo Corso, Piero Calamai; il mio Comandante.
Dire di quel grande uomo che fu Piero Calamai nel breve spazio di una pagina dattiloscritta è stata cosa ardua a compiere. Ho fatto del mio meglio e spero di esserci riuscito.
Allego un dépliant a fumetti, da me eseguito in ricordo della tragica vicenda.
Cordiali saluti
RICORDO DI PIERO CALAMAI – IL COMANDANTE DELL’ANDREA DORIA
Quando si parla o si scrive dell’Andrea Doria o del suo Comandante, il Capitano superiore di Lungo Corso Piero Calamai, qualcuno che ha qualcosa da dire e da ridire, si trova sempre. Accade spesso che, coloro che parlano o scrivono dell’Andrea Doria o del suo Comandante, lo fanno senza cognizioni di causa. Purtroppo così va il mondo!
Piero Calamai aveva un modo di fare, un comportamento calmo e sereno. Non ho mai sentito il Comandante Calamai alzare la voce. Aveva fiducia nei suoi ufficiali ma, in particolari, difficili condizioni di navigazione, il suo senso della responsabilità era altissimo. Anche in caso di nebbia non delegava il comandante in seconda ma sopraintendeva personalmente alla navigazione senza interferire nei confronti dell’ufficiale capoguardia ma dandogli il conforto della sua presenza sul ponte di comando. Anche la sera della tragedia, quando montai di guardia alle 20.00, lo trovai sul ponte di comando; in disparte, consumava una cena frugale e allorché, verso le 22.00, il Comandante in seconda Osvaldo Magagnini si offrì di sostituirlo, rifiutò, gentilmente, ma rifiutò.
Anche dal punto di vista umano, Piero Calamai, era un uomo eccezionale; una volta mi ha chiesto notizie delle mie origini e della mia famiglia; nessun’altro comandante l’ha fatto.
Piero Calamai era stato anche un uomo coraggioso, sia in tempo di guerra che di pace, le sue mostrine ne attestavano la carriera ed il coraggio. In gioventù aveva salvato, gettandosi in mare, un uomo che stava per annegare.
Che dire ancora di Piero Calamai? Ero di guardia, accanto a lui, sull’aletta di dritta del ponte di comando dell’Andrea Doria, quella fatale notte del 25/26 luglio 1956 quando la Stockholm ci puntò la prua contro e ci speronò, provocando l’affondamento della sua splendida nave: l’Andra Doria.
Lo ricordo ancora, le braccia allargate sul corrimano dell’aletta di dritta, per sorreggersi. Sembrava voler respingere la Stockholm con la forza della disperazione. Purtroppo non ci riuscì.
Questo è stato Piero Calamai: un uomo eccezionale. Un grande comandante. Il mio Comandante.

Le aquile che vengono dal mare
di Elena Bagnasco.
Attraverso i ricordi, tramandati di madre in figlia e non solo, oggi vogliamo celebrare una storia che fa parte di Genova: quella della Guzzi.
Il genovese Giorgio Parodi fondò il marchio esattamente 100 anni fa, il 15 marzo 1921 insieme al padre Emanuele Vittorio e altri tre firmatari, tra cui Carlo Guzzi, rappresentato all’atto da Giorgio.
Durante la prima guerra mondiale Giorgio, abile imprenditore, Carlo, meccanico geniale e Giovanni, pilota straordinario, idearono la vision di una motocicletta innovativa e mai vista prima che ancora oggi ci fa volare.
Quando per un fortunato caso ho iniziato l’avventura che mi sta portando alle celebrazioni del Centenario della fondazione della famosa motocicletta dell’aquila dorata, proprio in ricordo del suo fondatore genovese Giorgio Parodi, non immaginavo certo che mi sarei addentrata così tanto nell’anima e nei valori di un nonno che non ho mai conosciuto in prima persona, ma solo attraverso i racconti di mamma, spesso ancora offuscati dal dispiacere per una perdita precoce.
Il mio ringraziamento va a tutte le persone che mi hanno aiutata nella non sempre facile ricostruzione storica e che stanno rendendo possibile il sogno di una nipote che ha imparato a guardare il nonno con gli occhi di una bambina incantata davanti ad un libro di fiabe.
Chi era Giorgio Parodi? Che cosa pensava? Quali erano i suoi valori?
Partiamo da un po’ più lontano, capostipite della famiglia fu Angelo Parodi, fondatore del Tonno Angelo Parodi; a lui dobbiamo l’invenzione del metodo per conservare il pesce in scatola. Fu nominato Cavaliere del Lavoro, come poi fu anche il figlio Emanuele Vittorio Parodi, a Genova conosciuto come “u sciù Parodi” più volte citato nelle commedie di Gilberto Govi; insieme diedero origine alla più grande flotta di navi italiana dell’epoca, di cui ancora oggi Ponte Parodi ne porta testimonianza.
Curiosamente l’aquila fu scelta come simbolo per i prodotti ittici, proprio come fece Giorgio successivamente per le motociclette, anche se per altri motivi.
Giorgio nacque e crebbe in una famiglia di imprenditori di spesso calibro con grande intuito per gli affari, nonno e padre dotati di intelligenza viva e particolari capacità che li portarono a non avere rivali nel loro settore.
Giorgio, oggi da me affettuosamente ricordato come GP, figlio prediletto di Emanuele Vittorio (in famiglia chiamato Manuelin) ereditò tutte queste caratteristiche unite ad un carattere forte e carismatico, generoso ed altruista; restò sempre schivo da ogni esibizionismo e tenace realizzatore di opere.
Nonno Giorgio fu cittadino esemplare, coraggioso pilota e grande imprenditore; un uomo tutto d’un pezzo, come ancora oggi si ricorda. I pilastri della sua vita furono Patria, lavoro, famiglia e Dio. Ebbe un profondo senso del dovere da compiere, propenso per la vita austera, non si sottrasse mai a quanto andava fatto, incurante del rischio da affrontare. Valori solidi, che ancora oggi ritroviamo nella nostra Aeronautica Militare.
Disattendendo le speranze paterne che lo volevano da subito a dirigere le attività della famiglia, allo scoppio della Prima Guerra Mondiale, falsificò i documenti, poiché ancora minorenne, e si arruolò volontario a Venezia.
Pur avendo l’stinto del cacciatore, in linea con il suo carattere discreto e lontano dai riflettori, scelse il nome di battaglia “Lattuga”, comune e semplice vegetale, con il quale in breve tempo divenne famoso per le sue imprese eroiche.
Fu proprio durante la guerra, all’Idroscalo di Venezia, che Giovanni Ravelli, un compagno d’armi, pilota come lui, gli presentò un meccanico, Carlo Guzzi, che diventò suo motorista di aereo.
Giorgio riconobbe subito la genialità delle idee Carlo, che allo scoppio della Grande Guerra lavorava per la Isotta Fraschini; con Giovanni, invece, condivideva la passione per la velocità, gli aerei e le moto; dall’incontro di quelle tre persone, completamente diverse tra loro, nacque la “vision” di una motocicletta nuova, qualcosa che non si era mai visto, assolutamente innovativa per il periodo.
La squadra, quindi, prevedeva Carlo, il meccanico progettista, Giorgio che si sarebbe occupato della parte imprenditoriale e Giovanni il collaudatore.
Non sappiamo con certezza dove e quando sia stato realizzato il primo prototipo, sappiamo invece per certo che l’idea piacque tanto a Giorgio da chiedere un appoggio al padre per industrializzarla: ancora oggi fa bella mostra di sé, appesa alle pareti del Museo di Mandello del Lario, la lettera incorniciata del padre Emanuele Vittorio in risposta alla richiesta del figlio, di cui citiamo una parte:
“Sull’altro argomento ho poco da dirti, propendo per natura ad incoraggiare ogni iniziativa, non sarò certo io che mi opporrò all’esperimento di cui mi parli. Però non posso neanche con te spogliarmi della mia qualità di industriale e di uomo che deve valutare la cosa anche sotto l’aspetto pratico. Per conseguenza tu dovresti non dire che hai un capitale proprio, bensì dichiarare che ricorri a me per fornirlo, dandomi così il diritto di intervenire per discutere, vagliare e sindacare, prima che la cosa sia definitivamente stabilita. Anche se tecnicamente sono poco più di un asino, tuttavia mi sento in grado di poter dare un giudizio abbastanza competente e pratico sulla convenienza e sulla probabilità di successo di una simile impresa. La risposta che dovresti dare ai tuoi compagni è che io sono favorevole in massima, che le 1500 o 2000 lire per l’esperimento sono a tua disposizione, a condizione che la cifra non sia assolutamente sorpassata, ma che mi riservo di esaminare personalmente il progetto, e prima di assicurare il mio appoggio definitivo per lanciare seriamente il prodotto. Chè se per fortunata ipotesi esso mi piacesse sono disposto ad andare molto avanti senza limitazione di cifre.”
Iniziò così la grande avventura della Moto Guzzi, purtroppo l’amico Giovanni morì in un incidente di volo poco prima della presentazione ufficiale del primo prototipo, la GP, Guzzi-Parodi, esposta in bacheca nel Museo di Mandello del Lario.
In ricordo dell’amico pilota, Giorgio scelse l’aquila ad ali spiegate della loro divisa da apporre sui serbatoi, ancora oggi simbolo distintivo di tutti i piloti militari e civili. Furono sempre il carattere discreto e signorile, la sua grande generosità e onestà intellettuale che lo portarono a decidere di non chiamare GP le motociclette prodotte, perché anche iniziali del suo nome, lasciando così a Guzzi tutto l’onore del marchio; a differenza di quanto ritenuto da molti, Carlo Guzzi restò sempre un “dipendente di lusso” seppur con incarichi importanti nell’azienda della Famiglia Parodi.
Il 15 Marzo 1921 fu fondata a Genova la prima “ Società Anonima Moto Guzzi” con capitale proveniente dalla famiglia Parodi, azionista di maggioranza e primo presidente fu Emanuele Vittorio, Giorgio dopo poco tempo diventò vice presidente, Carlo Guzzi, rappresentato da Giorgio al momento della firma poiché assente, fu nominato amministratore delegato insieme ad un altro Parodi, Angelo (figlio di un fratello di Emanuele), quinto firmatario Gaetano Belviglieri, uomo di fiducia dei Parodi.
Negli anni furono voluti e fatti da Manuelin e Giorgio investimenti di centinaia di milioni dell’epoca per essere all’avanguardia nella produzione; in azienda si trovavano macchine automatiche a ciclo continuo (alcune progettate appositamente in Svizzera) e centrali elettriche, la sede legale genovese era collegata via ponte radio con lo stabilimento avviato a Mandello del Lario, una vera rarità per il tempo.
Ma GP non si fermò, fedele al suo carattere tumultuoso, oltre alle attività di famiglia, armatoriale e motociclistica, nel 1928 fondò insieme al fratello e Giorgio Profumo, l’attuale Aeroclub di Genova, sua pupilla fu l’imbattuta Carina Negrone, a lui è dedicata la scuola di volo genovese.
Già plurimedagliato, partecipò alla Guerra d’Etiopia e la Seconda Guerra Mondiale lo vide in prima linea.
Grazie ai racconti di Angelo Balzarotti, figlio di Ferdinando, celebre pilota della Moto Guzzi, si possono ripercorrere quelle difficili giornate per non far bombardare lo stabilimento. Nel cuore della notte, Ferdinando portava Giorgio da Mandello a Torino e Roma per fare accordi con gli alleati. Lui davanti e il nonno dietro. In sella ad un “Condor”, Giorgio sfinito dalla stanchezza infilava le mani in tasca a Ferdinando e gli diceva: “Corri Ferdinando, veloce, più veloce.” La risposta del pilota era: “Non posso Dott. Giorgio, non vedo, siamo schermati.” La risposta coraggiosa era sempre: “Togli tutto Ferdinando, leva la schermatura.” Dopodiché, stremato dalla stanchezza, si addormentava sulla spalla del suo pilota. Fu così che la Moto Guzzi non fu bombardata durante la Seconda Guerra Mondiale.
Fu proprio durante quest’ultima che ebbe un grave incidente, un motore esploso in volo gli costò la perdita di un occhio, ma sopportando il dolore e tacendo ai compagni, li portò in sicurezza.
Celebre di lui la frase: “Meno male che è capitato a me che ho i soldi per curarmi”.
Con un occhio di meno, il viso sfigurato dalle cicatrici ed un braccio semiparalizzato, il Capitano Giorgio Parodi fu costretto a dire addio al volo, dopo aver ottenuto 5 medaglie d’argento e una di bronzo.
Atterrato definitivamente a Genova, nonno decise di dedicarsi completamente al lavoro e alla famiglia, che nel frattempo era cresciuta.
Nel 1937 sposò la Contessina Elena Cais di Pierlas, grande amore della sua vita, dalla quale ebbe 3 figli, 2 maschi Andrea e Roberto, mancati entrambi in giovane età in gravi incidenti d’auto, e Marina, la mia mamma, unica figlia ancora in vita di GP.
Sono in pochi a sapere che anche lei ebbe un ruolo nella storia della Moto Guzzi, a partire da un certo periodo molti modelli furono chiamati con il nome di un volatile: Falcone, Galletto, Zigolo. In tanti pensano che sia la normale conseguenza della scelta iniziale dell’aquila, in realtà questi nomi furono scelti da lei, un tocco femminile in una fabbrica che sfornava motociclette come “Normale” o “Norge”.
La nonna Elena, purtroppo si ammalò gravemente, un male incurabile e nel 1954 mancò prematuramente. Dopo tante battaglie combattute e vinte, questa fu fatale al Nonno, distrutto dal dolore, ebbe un attacco cardiaco il 18 Agosto 1955, giorno di Sant’Elena Imperatrice, un anno dopo la scomparsa di lei, lasciando 3 figli minori.
Oggi, a distanza di molto tempo, mi ritrovo a parlare nuovamente delle aquile dei Parodi, orgogliosa di poter raccontare la storia di un uomo chiamato “Lattuga”.
Voglio chiudere queste poche righe con una frase presa dal testamento spirituale di GP per i figli, parole che in un momento di incertezza e difficoltà come quello che stiamo vivendo, dovrebbero essere luce nell’oscurità di un’epoca dominata da valori appannati.
“Preoccupatevi degli interessi del nostro Paese più che del vostro. Non circondatevi di troppi agi, non sottraetevi al servizio militare né al pagamento delle tasse, siate indulgenti gli altri e severi con voi stessi.”
Fondazione Ansaldo
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